domenica 29 luglio 2012

Taranto e l'ILVA: colpe e responsabilità.


Ritorno dopo un pò di tempo a scrivere, perché penso (anche se il tema esula dalla ragione sociale del blog) che comunque il problema ci riguardi e poi anche perché qualcosa da aggiungere, di poco o per nulla conosciuto ce l'avrei. 

Preliminarmente mi preme dire come la penso sul destino di quell'impianto. Sono d'accordo con Papa Benedetto XVI: "Tutelare diritto al lavoro e alla salute".

L'impianto deve essere messo a norma e continuare a funzionare. Con il contributo fondamentale dello Stato:

  • nella messa a norma; 
  • nella bonifica ambientale di terreni e quant'altro.




Non parlo a caso dello Stato e non lo faccio per scaricare sul pubblico quelle che sarebbero le negligenze del privato. Ma perché, mai come in questo caso lo Stato deve prendersi le sue responsabilità.

E ne parlo con elementi tangibili e reali a supporto.

Il Comune di Taranto, la Regione Puglia, lo Stato, la Marina Militare (forse la stessa Magistratura), di questo stato di cose ne erano al corrente almeno dal 1990 (mi scuso dell'imprecisione non avendo sottomano la documentazione, ma semmai la data è anteriore al '90, non successiva).

Quindi ben prima che l'Ilva fosse venduta ai privati.

Vi racconterò una storiella.

In quegli anni, 1990 o poco prima, la Marina Militare decide di costruire un nuovo grande bacino di carenaggio, in aggiunta all'esistente. Nel far questo, come da norma, fa eseguire delle analisi nella zona interessata, in particolare dei fondali della zona interessata. 
Da queste analisi risultava, già allora, la presenza di PCB nei campioni di sedimenti prelevati. Ovviamente la M.M. si blocca subito. Presumibilmente per due ordini di motivi.
Il primo, quello sicuro. I costi. Smaltire quel tipo di rifiuti, in quelle quantità, in discariche allora denominate di III categoria (le più costose) faceva saltare tutto il conto economico dell'operazione. 
Il secondo, quello presumibile. Anche se qualcuno si fosse fatto carico dei costi e si fosse andati avanti nella costruzione del bacino, questo avrebbe certificato ufficialmente il problema PCB nel mar Piccolo con tutto quello che ne sarebbe seguito e che in pratica sta succedendo adesso. E la decisione comunque non penso sia stata presa dalla sola M.M..
Sta di fatto comunque che qualcuno, istituzionalmente, tenta di muoversi. 
Il Comune di Taranto da l'incarico all'Italimpianti Sud (società pubblica poi fallita), di individuare un iter operativo di decontaminazione di tutta l'area (il mar Piccolo). L'idea si sarebbe dovuta concretizzare nella realizzazione di particolari draghe, attrezzate per la separazione a bordo della frazione non contaminata (sabbie e frazioni maggiori) dalla frazione contaminata (limi, etc.), nella riduzione (della massa) ed inertizzazione di quest'ultima con il conferimento nelle molto più economiche discariche di I categoria. Con annesso, ovviamente, anche il trattamento delle acque contaminate.
Siamo ormai intorno al 1993/94, grande periodo di crisi per l'Italia e gli effetti si vedono pure su questa storia.
Il Comune di Taranto si sfascia, l'Italimpianti fallisce, viene privatizzata e tutto questo progetto muore. La M.M. a quel punto, vista l'impossibilità di continuare ad operare con efficienza nel mar Piccolo decide di spostarsi nel Mar Grande e quello che era solamente un pontile diviene il Nuovo Arsenale.
E lo Stato vende l'Ilva ai Riva ben cosciente di tutto questo. Ben lieto presumo, di passare la patata bollente, da lui stesso provocata, ad altri.
Fine della storiella.
Le conclusioni, sulle colpe e responsabilità, senza esonerare per questo i Riva,  traetele voi.

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